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I costi di un sistema che presenta notevoli lacune su conciliazione tra occupazione e lavoro di cura sono spesso pagati dalle donne

Conciliare tempo di cura e tempo del lavoro è una delle maggiori sfide di chi si occupa di un famigliare non autosufficiente. Dover mollare tutto per improvvise emergenze, prendere permessi per visite e accertamenti, essere produttivi quando le ore di sonno si riducono e le preoccupazioni minano la serenità sono solo alcune delle prove con le quali i caregiver familiari devono fare i conti quotidianamente.

Torna sulla questione anche la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che nel citare recenti storie di discriminazione di lavoratori caregiver, squarcia il velo su una realtà fatta non di rado di licenziamenti, demansionamenti, isolamenti, discriminazioni che una certa parte del mondo del lavoro pone in atto nei confronti dei lavoratori che si prendono cura di familiari malati o disabili. L’occasione è l’analisi del recente studio del CENSIS La gestione della cronicità: il ruolo strategico del caregiver. Il quadro generale ed un focus sul Parkinson che ha coinvolto un campione di 203 caregiver familiari, in prevalenza donne (il 76,4% contro il 23,6% degli uomini).

EFFETTI DEL LAVORO DI CURA SULL’OCCUPAZIONE  - Oltre ad altri seri impatti negativi, il 36,9% di loro dichiara che il lavoro di cura ha generato un deleterio effetto sulla propria occupazione, che va dai problemi per le ripetute assenze sul lavoro, alla necessità di chiedere il part-time, fino alla scelta di andare in pensione o di licenziarsi.

LE DONNE MAGGIORMENTE COLPITE – Di fronte a questo quadro emergono chiare le lacune di un sistema che non pone al centro forme di conciliazione tra necessità familiari  e lavorative. Si pensi ad esempio a forme di flessibilità o al telelavoro, che  contribuiscano a non rendere impossibile il mantenimento di una occupazione retribuita per coloro i quali – spesso donne – devono destreggiarsi anche tra casa, famiglia  e assistenza. A subire di più, appunto, sono le donne, le quali si occupano in maniera maggioritaria delle mansioni di cura famigliare. Ricorda FISH che sono loro a pagarne il conto più salato: part-time forzato, rinuncia alla carriera, marginalizzazione, retribuzioni più basse… e troppo spesso sono le prime ad essere licenziate nei momenti di crisi, generando nuove povertà.

LICENZIAMENTI E EMARGINAZIONE – Purtroppo non stupiscono, allora, in tale ambiente, i casi che la cronaca ci restituisce in questi tempi, come quello recente della madre licenziata perché non in grado di garantire presenza al lavoro di primissima mattina, a causa delle terapie al figlio disabile. Ma i casi sono tanti, e nonostante le tutele (vedi i permessi da L.104/92) si registrano purtroppo licenziamenti durante il congedo parentale, demansionamenti, o anche forme di mobbing o marginalizzazione perché fruiscono dei permessi cui hanno diritto.

RISCHIO ESCLUSIONE SOCIALE - "Altro che welfare aziendale! Altro che responsabilità sociale di impresa! Un Paese ed un tessuto produttivo che non sappiano porre attenzione alla giusta conciliazione fra necessità aziendali e le sempre più diffuse esigenze familiari dei lavoratori genera, amplifica ed esaspera nuovi conflitti allargando implacabilmente la forbice dell’esclusione sociale. È questa la consapevolezza che deve unire in uno sforzo comune il legislatore, l’impresa, la pubblica amministrazione, le organizzazioni sindacali, le espressioni dell’impegno civile per trovare le ineludibili soluzioni”, il commento della Fish.


Redazione


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