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La sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Dj Fabo ha legalizzato la morte volontaria assistita in Italia, a determinate condizioni. La Consulta si esprimerà sul requisito del trattamento di sostegno vitale: dalla sentenza dipenderà l’esito di 6 procedimenti giudiziari

Nel nostro Paese manca ancora una legge nazionale sul fine vita, nonostante le pronunce della Corte Costituzionale e la sua sollecitazione al Parlamento, al quale non può sostituirsi.
In questo momento il riferimento è la sentenza 242 del 2019 della Corte Costituzionale (sul caso di Fabiano Antoniani, Dj Fabo, e Marco Cappato, ndr), che ha legalizzato la morte volontaria assistita in Italia a talune condizioni, dichiarando non punibile l’aiuto al suicidio se la persona è in possesso di determinati requisiti. Questi requisiti sono: essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetti da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili e essere dipendenti da trattamenti di sostegno vitale.

L’ITER DELLE PROPOSTE DI LEGGE
Dopo che nella scorsa legislatura una proposta di legge non è arrivata ad approvazione, attualmente il percorso legislativo di un documento che dia chiare regole e paletti alla questione, dando finalmente risposta a persone in condizioni di grandi sofferenze, procede a rilento in Parlamento: nelle commissioni riunite Giustizia e Sanità è in corso un esame di 5 proposte di legge al riguardo.
Nel frattempo alcune Regioni si stanno autonomamente muovendo, affrontando la questione del fine vita.


IL TRATTAMENTO DI SOSTEGNO VITALE
Come detto, tra le condizioni che rendono legale il suicidio assistito in Italia secondo la sentenza della Consulta, vi è il requisito del trattamento di sostegno vitale (unico paese nel mondo a prevederlo, ndr). Si tratta del requisito che si presta a una interpretazione più controversa e che potenzialmente, se interpretato in senso restrittivo, potrebbe avere effetti discriminatori sulla possibilità di accedere o meno alla procedura dell’aiuto medico alla morte volontaria. Facendo un esempio: se è senz’altro trattamento di sostegno vitale la dipendenza da ventilazione meccanica, lo è altrettanto la totale dipendenza, h24, da altre persone, per la propria sopravvivenza? 

PROSSIMO ESAME DELLA CONSULTA
È quindi su questo punto, e in particolare sulla costituzionalità del requisito del sostegno vitale, che la Corte si riunirà il prossimo 19 giugno. Nello specifico, su richiesta del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, la Consulta è chiamata a pronunciarsi a seguito dell’aiuto fornito da Marco Cappato, rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, da Chiara Lalli e Felicetta Maltese a Massimiliano (MIB) toscano 44enne affetto da sclerosi multipla, a raggiungere la Svizzera per accedere alla morte volontaria assistita. MIB, per la sua richiesta in Italia, era assistito dal team legale dell’Associazione Luca Coscioni, che spiega: "L’uomo non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale inteso in senso restrittivo (come per esempio la ventilazione meccanica), nonostante fosse totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere all’aiuto medico alla morte volontaria in Italia così come disciplinata dalla sentenza della Consulta 242/19".
A seguito della vicenda, Cappato, Lalli e Maltese si sono autodenunciati ai Carabinieri di Firenze per l’aiuto fornito, e sono indagati nel procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Firenze. Il GIP, con ordinanza del 17 gennaio 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, perché il requisito del sostegno vitale sarebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 primo comma della Costituzione.
IL RISCHIO DEL CARCERE
Se fosse confermata dalla Consulta una interpretazione restrittiva del requisito della presenza di trattamenti si sostegno vitale, Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli rischiano una condanna che prevede la reclusione fino a 12 anni di carcere come previsto dall’articolo 580 del codice penale, per aver fornito aiuto a Massimiliano al di fuori di uno dei requisiti indicati dalla Corte affinché quell’aiuto non configurasse reato.

CASI DI DISOBBEDIENZA CIVILE
Attualmente, Marco Cappato con altri disobbedienti dell’Associazione Soccorso Civile, risulta iscritto nel registro degli indagati presso le Procure di Bologna, Milano e Roma, per l’aiuto fornito anche ad altre persone malate che hanno fatto accesso alla morte volontaria assistita in Svizzera.
GLI ALTRI CASI E LE DISOBBEDIENZE CIVILI:
PROCEDIMENTI GIUDIZIARI IN CORSO nei confronti di Marco Cappato insieme agli iscritti a Soccorso Civile, indagato presso i tribunali delle città dove sono avvenute le autodenunce dopo aver prestato assistenza al suicidio assistito a persone discriminate come Massimiliano dal requisito del trattamento di sostegno vitale.
Nello specifico:
Milano per l’aiuto prestato al signor Romano, a Elena Altamira, di Spinea (VE) e alla milanese Margherita Botto.
Firenze, per l’aiuto prestato a Massimiliano (MIB), di San Vincenzo (Livorno), accompagnato in Svizzera da Chiara Lalli e Felicetta Maltese.
Bologna, per l’aiuto prestato alla signora Paola, accompagnata in Svizzera dalle disobbedienti Felicetta Maltese e Virginia Fiume.
Roma, per l’aiuto fornito a Sibilla Barbieri, accompagnata dal figlio, Vittorio, e da Marco Perduca. 

37 GLI ISCRITTI A SOCCORSO CIVILE, di questi 13 attivisti si sono già autodenunciati: i responsabili di Soccorso Civile Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli; i parlamentari Riccardo Magi, Ivan Scalfarotto e gli ex senatori Luigi Manconi e Marco Perduca. La giornalista e bioeticista Chiara Lalli, la pensionata Felicetta Maltese, l’attivista Virginia Fiume e Cinzia Fornero, Guardia parco.
Tra i famigliari delle persone malate figurano il figlio di Sibilla Barbieri, Vittorio Parpaglioni, e il fratello di Margherita Botto, Paolo.

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